Filippo Tantillo è il Coordinatore Scientifico della Strategia Nazionale per le Aree Interne del Dipartimento per lo Svilippo e la Coesione Economica del Governo.
Qualche giorno fa gli abbiamo mandato il “libretto blu” della Scuola di Bollenti Spiriti, chiedendo un suo parere sui contenuti ed i metodi delle nostre attività. Ci ha risposto con una lettera, ricca di spunti e riflessioni per il nostro lavoro. Abbiamo pensato di condividerla, può essere utile a tutti.
È difficile coniugare politiche di sviluppo con quelle per i diritti per tutti, soprattutto quando si parla di giovani.
Le politiche di sviluppo sono per antonomasia dedicate a chi è più veloce, e si spinge su quelli nella convinzione che si portino dietro gli altri, sono politiche capitaliste e liberiste, nella convinzione che far salire la marea porta in acqua anche le barche in secca, come diceva Galbraith: prendiamo i “talenti”, i più dotati di potenzialità e facciamo politiche selettive dedicate a quelli.
Tutto sembra dimostrare che le cose non vanno così, e si approfondisce il divario con i più lenti. Oppure il contrario, si fa come la scuola pubblica che essendo democratica e universalista, va alla velocità dei più lenti: un approccio che produce delle storture quasi altrettanto gravi, il famoso “livellamento” verso il basso.
[…]Però ecco, mi sembra che i partecipanti alla Scuola rischino di essere comunque solo quelli che corrono di più, ossia quelli che hanno le capacità immaginifiche, relazionali e comunicative, che sembrano la chiave di volta, che hanno “talento”. Ecco quindi è proprio la figura del “talento”, che rischia ad assomigliare pericolosamente a quello dell’artista, un tipo che ci nasce con questa caratteristiche. Artisti si nasce, non si diventa….forse è questo il paradigma da cambiare.
Nell’approccio democratico/universalista, quello della scuola di Gianni Rodari, uno che di creatività se ne intendeva, tutti possono essere talenti, così come tutti possono essere artisti.
[…]Giustamente la Scuola dice che le competenze che servono non si imparano nei percorsi formativi tradizionali. Ma quali sono queste competenze? Mi viene in mente Bruno Munari, che aveva codificato il percorso di creazione in un metodo del riso verde. Ma questo è solo un aspetto, l’altro è quello comunicativo, e qui la ascuola c’entra e come, l’ultimo è quello relazionare, il più complicato.
Da anni vedo territori e persone diversissimi e ce ne sono di due tipi, esemplificando: quelli che si sanno muovere e quelli che sono muti.
Voi sostanzialmente state formando una nuova generazione di animatori di sviluppo (si sarebbe detto un tempo) perché capaci di lavorare in contesti sociali deboli, sostenedoli.
Bello, anche noi. Nel tentativo di fare politiche di sviluppo in luoghi dove per lo più le persone sono incapaci di esprimere persino i bisogni più elementari, dove si impara che più la gente è bisognosa e meno chiede, più è schiacciata e meno reagisce, ho immaginato di muovermi a due velocità.
Mettere a punto una toolbox adatta agli ambiti più dinamici, con cui assecondare, accompagnare, dare gli strumenti. Nel caso dei territori (o dei soggetti) muti, un’altra toolbox utile a cercare i bisogni, facendo “rattering”, individuare le priorità nella marea indistinta e inespressa dei bisogni, mandare cercatori di bisogni.
E nella mia esperienza, quando mi son trovato in situazioni clamorosamente di questo tipo, ho fatto ricorso a strumenti di psicologia sociale, e ho capito che chi non si sa narrare, per subalternità culturale, per mancanza di parole, per altri motivi, non sa immaginarsi, non sa progettare, non sa relazionarsi con gli altri ne comunicare. Ed è questo il pezzo sul quale intervenire, non l’unico sicuramente, ma per intervenire sulle difficoltà relazionali.
E’ un lavoro costoso e lungo, ma non impossibile.
Filippo