Taranto, dicembre 2014
– Dai scavalchiamo
– E se ci beccano?
– Non succede niente
– Ma l’avete mai fatto?
– Ei ‘stuert’, noi qui veniamo a prendere la legna per i falò. Da quand’ero bambino vengo qui.
– Va bene, andiamo.
Ci arrampichiamo su un muro di mattoni di tufo giallastro. Salgono prima Mimmo e Piero, con la freschezza dei loro 15 anni e la sicurezza di chi sa bene dove mettere mani e piedi. Poi io, goffo e fuori forma ma pensavo peggio. Una volta in cima al muro alzo lo sguardo ed eccola qui: la zona interdetta di Città Vecchia, ‘abbasc a vi d mizz’, alla fine di Via di Mezzo.
Un intero rione di palazzi sventrati o sbarrati, vicoli pieni di calcinacci e rifiuti di ogni genere, una natura rigogliosa che negli anni ha preso il sopravvento. Tutto completamente inaccessibile perché pericolante e indicibile, come quelle storie che da bambino non ti raccontano perché potrebbero turbare la tua infanzia. ‘Ti piace?’ Mi chiede Mimmo mentre Piero sogghigna. Non riesco a dire nulla se non uno stupido ‘Molto’. ‘Bello è’ incalza Piero persuaso da quel degrado. Loro tutte quelle storie, anche quelle peggiori, le conoscono bene. Loro sanno già tutto, anche se hanno solo 15 anni.
Ci siamo incrociati in Via Duomo, gli ho chiesto se avevano mai provato a entrare in qualcuno dei tanti palazzi vuoti e abbandonati sparsi per i vicoli. Il mio era un dubbio innocente, dovuto a un bambinesco fascino per i posti abbandonati, quelli in cui bisogna entrare in punta di piedi. Ero quasi certo che mi avrebbero risposto di si, quindi ho cercato di spingermi oltre:
– Io ho un registratore e una macchina fotografica. Vi va di farmi fare un giro per tutti i palazzi abbandonati di Città Vecchia? Uno racconta e l’altro fotografa.
– Sciam!
Neanche il tempo di spiegare il funzionamento basilare, Mimmo aveva incominciato il suo reportage dal palazzo dietro di noi. Io accendo il registratore, REC, via! Piero comincia timidamente a raccontarmi ciò che vede: un palazzo bianco, con porte e finestre tutte murate. Non sa cos’altro dire, a me sembra un ottimo inizio.
Nei primi cento metri ci siamo fermati sei o sette volte, e giù con foto e commenti su cosa quei grandi edifici possono nascondere all’interno. ‘Zoccole, combà!’ esclama giustamente Piero, che però alla stazione successiva, di fronte a un palazzo settecentesco con tutte le finestre senza vetri e le decorazioni ancora in parte visibili, dice qualcosa del tipo: ‘Non è giusto che il Comune tiene tutti questi palazzi chiusi, quando ci sono tante persone senza fissa dimora’. Lo incalza Mimmo: ‘Uno di questi palazzi si potrebbe usare pure per fare un centro per noi ragazzi. Ma non per stare così buttati, ma per fare cose, attività’. Come dargli torto. Ancora un paio di soste e siamo giunti in Piazzetta Monte Oliveto. Altra sessione di foto e storie, di Mimmo che dice di aver abitato da bambino al primo piano del Palazzo in cui nacque il compositore Paisiello. Risaliamo in Via Duomo e poi giù per Postierla Via Nuova, dove mi fanno notare un Palazzo bellissimo, grande quanto tutto l’isolato e chiuso minuziosamente con sbarre di ferro.
Intanto la discussione va avanti su quanto è bello fare fotografie, sulla voglia che manca ai ragazzi di Taranto, sulle ricette tipiche di Natale, sull’incontrarci per provare a entrare in qualche palazzo e salire sul terrazzo a guardare la vista. Siamo di fronte a quel muro di mattoni di tufo giallastro, l’accesso alla città fantasma. Dopo averlo scavalcato ci inoltriamo tra i rovi, passi lenti e brevi carichi di attenzione e adrenalina. Botteghe, intonaci, volte, incroci con i nomi arrugginiti delle vie, enormi edifici sbilenchi in bilico uno sull’altro. Usciamo dopo una ventina di minuti, scambiandoci in fretta i contatti per ritrovarci prima possibile. Mi lasciano li, al muro di mattoni di tufo giallastro, avviandosi velocemente verso Via Garibaldi.
Scopro il giorno dopo quanto quell’itinerario dell’abbandono, guidato dagli occhi e le parole di Piero e Mimmo, sia stato importante per il processo che stiamo cercando di attivare nel project work sul turismo di comunità. Immaginare che i ragazzi tarantini diventino ‘guida esperienziale’ della loro città e dei loro luoghi, anche in maniera del tutto temporanea e sperimentale, è una suggestione che ci entusiasma.
Alla loro leggerezza!